Può accadere che una persona che si rivolga ad uno psicoterapeuta, fatto il primo colloquio e accordato il colloquio successivo per effettuare una valutazione della situazione, disdica dopo alcuni giorni l’appuntamento, affermando “che non se la sente di continuare”.
Ha sbagliato qualcosa lo psicoterapeuta?
La prima cosa che si può pensare è che lo psicoterapeuta non abbia fatto una buona impressione, oppure che le cose che sono state proposte ,il paziente non le abbia sentite utili per sé o per la sua situazione. Tutto ciò è possibile, tant’è che l’incontro con lo psicoterapeuta è un incontro con una persona che propone un certo approccio relazionale, e questo non può andare bene per tutti.
In effetti un paziente può pensare o realizzare successivamente al primo colloquio “queste cose non fanno per me, capisco che non mi saranno d’aiuto “.
Quando lo psicoterapeuta chiede un chiarimento
Spesso il disdire il colloquio successivo avviene per messaggio, più difficilmente avviene attraverso una telefonata. Quando si riceve il messaggio è si avverte che nel messaggio c’è la necessità di STACCARE, ovvero che ciò che è urgente per il paziente è chiudere questo piccolo legame che si è creato attraverso il primo colloquio. Io in questi casi chiedo; chiedo se il paziente non si è trovato bene, se c’è qualcosa che a posteriori si è capito che non va bene per sé stessi o per la propria situazione. Magari capita che un paziente mentre fa un primo colloquio con un professionista, contemporaneamente ne fa altri con altri professionisti.
La proposta
Di solito propongo comunque di incontraci almeno una seconda volta, per poter “capire” che cosa c’è che non è andato bene. Perché questa proposta? Perché molto spesso il paziente che chiede aiuto, in realtà dentro di sé vive la richiesta d’aiuto in modo ambivalente, e carica di aspettative il primo colloquio di un qualcosa di cui neanche lui è consapevole.
La paura nella richiesta d’aiuto
Molto spesso il paziente è portatore di un equilibrio molto precario, sta male, magari vive delle inibizioni e dei blocchi che durano anche da molto tempo, ma allo stesso modo, la situazione di disagio, ansia o depressione, è diventata il modo in cui quel paziente vive, ovvero L’EQUILIBRIO PATOLOGICO che lo caratterizza. In quest’ottica l’equilibrio patologico è pur sempre la cosa con la quale si è creata una maggiore famigliarità, e dunque implicitamente il paziente vive un ricatto che la mente gli fa.
Il ricatto della mente
Cosa dice implicitamente la mente al paziente di cui stiamo parlando, “stai attento se chiedi aiuto, perché è vero che vuoi stare meglio, ma il terapeuta potrebbe anche farti stare peggio!”.
Con questa aspettativa latente il paziente arriva al primo colloquio, e capita che nel momento in cui il paziente chiede qualcosa di efficace per stare meglio, lo voglia senza un proprio coinvolgimento, secondo la logica della medicina e del farmaco. Qualcosa che agisca indipendentemente dall’implicazione del paziente.
Cosa invece è bene sapere
E bene sapere che non esiste nessuna psicoterapia o aiuto psicologico che non implichi la messa in gioco del paziente, che nel momento che si tocca l’equilibrio patologico, l’ansia e la paura si faranno sentire, e lo faranno perché in fondo non pochi pazienti vivono LA PAURA DEL CAMBIAMENTO CHE LI POSSA FAR STARE BENE.
E perché succede questo? Perché la paura è strettamente collegata al CAMBIAMENTO, di qualsiasi natura esso sia, positivo o negativo.
Dunque fate attenzione ai ricatti della mente, e soprattutto è bene sapere che lo stare meglio passa dal rapporto terapeutico con l’altro, mentre il mantenimento del sintomo o della malattia, passa attraverso una chiusura e lo scappare dal rapporto con l’altro che fa paura per definizione.
I ricatti della mente possono diventare delle gabbie mentali