L’APPROCCIO TERAPEUTICO VERSO LA MALATTIA
La malattia NON VA COMBATTUTA, ma vanno create le condizioni perché si possa capire che cosa l’alimenta. I fattori scatenanti la malattia sono prevalentemente di origine psicologica. Per cui è bene sapere che dietro ad ogni disturbo del comportamento alimentare ci sono sempre dei fattori psicologici che agiscono su più livelli nell’unità mente-corpo.
Il disturbo alimentare e il transgenerazionale
Quando in una famiglia si manifesta un DCA in uno o più componenti della famiglia, è possibile che la comparsa della malattia possa essere favorita dalla presenza di disturbi psichiatrici o con DCA nelle generazioni precedenti. Non è inusuale che qualcosa di un disagio che è stato presente in uno o più componenti delle generazioni precedenti, possano trasmettersi alle ragazze o ragazzi di oggi.
Ciò che alimenta la malattia
La malattia è sempre il segnale di qualcosa che non va a livello psicologico. La malattia dopo il suo manifestarsi, tende a creare delle condizioni attraverso cui si autoalimenta. Spesso queste condizioni sono un insieme tra fattori biologici e psichici. Sia che parliamo di anoressia, di bulimia o disturbo BED, in ogni caso, il metabolismo dell’organismo viene alterato, e queste alterazioni tendono a divenire un fattore di mantenimento della malattia. In altre parole, la malattia tende a creare un nuovo “equilibrio patologico”, e questo equilibrio diventa difficile da modificare. Una malnutrizione ad esempio, tende a rimanere tale, rinforzata dalle fobie alimentari e corporee della paziente. Così le abbuffate di un disturbo BED, tendono a produrre un sovrappeso che diverrà una condizione di mantenimento metabolico della spinta verso le abbuffate. Molto spesso ciò che spinge verso le abbuffate è ciò che comunemente viene chiamata “fame nervosa”. Va sottolineato che nel disturbo BED, molto spesso si supera il livello della fame nervosa, per arrivare alla compulsione dell’abbuffata.
Perché sembra di dover combattere la malattia?
Quando la situazione di un DCA è molto grave, ci si trova di fronte ad un problema di cronicità. Anni di malattia, tentativi di cura non andati a buon fine, possono innescare il processo della cronicizzazione. Di fronte ad una malattia molto grave, il primo passo terapeutico da compiere, è quello di introdurre delle modifiche comportamentali e relazionali nel quotidiano della paziente. L’inserimento all’interno di una struttura residenziale di cura, ha proprio questo presupposto terapeutico. La paziente viene sganciata dal proprio contesto di vita, per essere inserita in un altro ambiente (terapeutico). L’aspetto terapeutico del nuovo contesto, va a cozzare inevitabilmente con ciò che i sintomi impongono alle pazienti. È in questo frangente della cura che sembra di dover combattere contro la malattia.
Il principio terapeutico
Quando l’assetto nutrizionale e relazionale cambia, la paziente va incontro ad una forte attivazione psicologica, spesso accompagnata da intensi stati di ansia, panico e angoscia. C’è come un freno che impone alle pazienti di non cambiare. Molto spesso è il porsi di fronte a questo freno che da l’idea di doverlo combattere per superarlo.
Non combattere, ma capire
Se in una riabilitazione psiconutrizionale l’esposizione ad un cambiamento dello stile alimentare è necessario, dall’altra parte è altrettanto necessario uno spazio psicologico in cui raccogliere i vissuti che tale cambiamento ha prodotto. In fondo l’esposizione ad un nuovo stile alimentare deve sempre tenere conto delle condizioni psicologiche soggettive. L’idea di combattere i sintomi può essere deleteria perché genera l’aspettativa che ci si debba opporre alla malattia. La malattia può essere forzata in alcuni aspetti della cronicizzazione, i quali senza forzatura non inizierebbero a modificarsi. Ma ciò che più conta, è il poter entrare in contatto con i vissuti che si producono nell’esposizione ad un nuovo stile alimentare e di comportamento. E in questo aspetto non c’è nulla da combattere, ma si deve avere la possibilità di incontrare un ascolto attento e competente che permetta alla paziente di CAPIRE cosa c’è che non va dentro di lei.
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