Significato psicologico del primo attacco di panico

Riporto le considerazioni di Paolo Roccato sulla “Terribile prima volta degli attacchi di panico”

Nell’angoscia di chi soffre di attacchi di panico, c’è sempre il riferimento a una terribile “prima volta”. Ed è rilevante che gli attacchi di panico successivi ad essa non sono tanto crisi di angoscia diretta, ma sono crisi di paura che si riattivi l’angoscia di quella “prima volta”. Paura della paura. Una sorta di “paura di secondo grado”.

Il fatto è che l’angoscia della “prima volta” è sentita come “non sopportabile”, come “insostenibile”. Così insostenibile, da non riuscire più neppure a pensarla. Il paziente tende a muoversi, e a far muovere chi si occupa di lui, sempre soltanto al livello della “paura della paura”, e mai al livello della “paura prima”, la quale è del tutto sfuggente, perché non si presenta più e il paziente riesce sempre ad evitarla, tanto che sovente non è neppure più pensata, ma soltanto nominata in modo implicito per accenni (“Quella cosa”, “Quello”). Bisogna ricordare che la traumaticità del trauma psichico risiede nella sua non pensabilità. Ma il non pensare un’esperienza la rende realmente non pensata, e questo la può consolidare nel suo statuto mentale di “esperienza non pensabile”. Cioè: la ri-consolida come esperienza traumatica. Nella mia pratica clinica, ho trovato che è sempre estremamente difficile riuscire a farsi raccontare per bene la fatidica “prima volta”, tanto che in certi casi mi era venuto perfino da ipotizzare che essa non si fosse mai verificata. Che avesse lo statuto di “evento mitico giustificazionistico”.(6) Si presentava come un’esperienza “vuota”. Priva non solo di connessioni con elementi del contesto o con elementi della storia personale contemporanea all’evento, immediatamente precedente o comunque antecedente, ma priva perfino di elementi interni all’esperienza medesima e di connessioni interne. Il fatto è che l’evitamento di tutto ciò che potrebbe reinnescare i processi “sconosciuti” che potrebbero portare a quella insostenibile angoscia è così forte e massiccio, che viene attuato anche al livello del pensiero. Diventa insostenibile anche il solo avvicinarsi al pensarla, la “prima volta”.

Viene quasi sempre raccontata non come una esperienza, con tutta la portata vitale della soggettività; ma come un accadimento, con tutta la freddezza e il distacco della “obiettività”. O mancano gli elementi del contesto, o mancano gli elementi della storia precedente, o mancano gli aspetti dell’esperienza soggettiva in corso, o il racconto è del tutto devitalizzato, appiattito, quasi burocratizzato. Anche a questo proposito, io ritengo che queste non siano lacune del racconto o della ricostruzione o della memorizzazione, ma che si tratti di specifiche modalità realmente adottate allora nella strutturazione stessa dell’esperienza, di cui ora si cerca di parlare.

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