L’origine del Linguaggio, Fonagy e Lacan a confronto

Il tema dell’origine del linguaggio è un tema che ha da sempre affascinato l’uomo,  e che ad oggi, insieme al tema della coscienza non ha ancora trovato delle risposte che abbiano il sapore dell’acquisizione. Qui di seguito, vorrei proporre alcune brevi considerazioni mettendo a confronto due punti di vista che si contraddicono tra di loro. Per J. Lacan, il tema dell’origine del linguaggio, potremmo dire che è una sorta di domanda impossibile, dal momento che (dal suo punto di vista) nasciamo nel linguaggio e siamo costituiti dal linguaggio (il linguaggio qui va inteso nel senso di struttura, di ordine e non solo del verbale). Lacan ha sempre criticato l’idea che il linguaggio potesse derivare o essere un prodotto della coscienza, tant’è che nella sua elaborazione teorica, lo psicoanalista francese, fa coincidere la coscienza con l’immagine.

In Lacan, la dimensione immaginaria dell’esperienza, è ciò  che produce alienazione nella vita umana, e che il linguaggio nel suo operare dovrebbe  disalienare, producendo quello che è noto come la “simbolizzazione dell’immaginario”. La posizione di Fonagy invece, è propriamente contraria a quella di Lacan, Fonagy  distingue la funzione simbolica del linguaggio (inteso nel senso del verbale), dalle funzioni simboliche presenti  nel pensiero umano. Il linguaggio (o funzione simbolica così intesa) ha una sua origine, dice Fonagy, e ciò che permette la costituzione del linguaggio umano  è “l’attenzione congiunta” che si sviluppa tra il neonato e il suo caregiver. L’attenzione congiunta, dice Fonagy è mentalizzazione in atto, l’attenzione congiunta è l’incontro tra una funzione mentalizzante (e dunque autocosciente) e un autocoscienza in embrione; questa possibilità di incontro, diventa così la condizione necessaria perché possa svilupparsi il linguaggio umano.

In questo senso, Fonagy pone l’intersoggettività (come incontro di due livelli di autocoscienza) come il fattore necessario perché si sviluppi la capacità di parlare degli esseri umani; dall’altro lato, il linguaggio, nel suo esistere diventa un fattore terzo che permette lo sviluppo delle capacità di mentalizzazione, e dunque di autocoscienza.

In questo senso, la parola umana e l’autocoscienza non sarebbero due fenomeni distinti, ma sarebbero invece le due facce diverse della stessa medaglia.

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