L’inconscio e il metodo della Psicoanalisi

Pubblico uno primo stralcio di un intervista che Alberto Lucchetti fece a Jean Laplanche.

Il tema affronatato è quello dell’inconscio, una lettura attuale dell’inconscio Freudiano che viene distinto dallo sviluppo teorico che ne fece J.Lacan in Francia. Il discorso di J. Laplanche si sviluppa a partire da quelli che possono essere considerati i nuovi fondamenti della Psicoanalisi nella Teoria Psicoanaltica contemporanea.

Jean Laplanche: intervista sull’Inconscio
A cura di Alberto Luchetti
C’era una volta l’inconscio… Qualcuno, provocatoriamente, pronostica che si racconterà così – forse
alla prossima fine secolo – la favola dell’inconscio e… della psicoanalisi.
Già oggi, però, spesso si dice che l’inconscio non è più “l’inconscio freudiano” e del resto gli inconsci
si moltiplicano (in altri campi ma anche nella stessa psicoanalisi: inconscio preriflessivo, inconscio non
validato, inconscio procedurale, inconscio implicito etc.): l’inconscio è ormai sostituito dagli inconsci.
Di fronte a questa rifrazione dell’inconscio, nella sua elaborazione teorica Laplanche ha confermato e
rifondato la specificità dell’inconscio in psicoanalisi. Senza risalire a Freud e alla sua definizione
dell’inconscio come “primo scibbolet della psicoanalisi”, Laplanche ha affermato a più riprese che “il
problema dell’inconscio e l’idea che possiamo farcene, sia del suo essere sia della sua genesi, sono al
cuore della metapsicologia”, e che l’inconscio è l’oggetto proprio della psicoanalisi. Aggiungendo: “Le
poste in gioco in una concezione corretta dell’inconscio travalicano di gran lunga la sfera puramente
teorica. Esse riguardano soprattutto: 1. la fondazione e la comprensione della pratica analitica; 2.
l’originalità della scoperta freudiana e la rottura che instaura nella storia delle idee nonché in quella
dell’uomo; 3. la nozione di pulsione; 4. la specificità del campo sessuale-fantasmatico, da riaffermare
sia nella pratica che nella teoria”.
Di Jean Laplanche, presso la casa editrice la Biblioteca (Bari-Roma), è in corso di pubblicazione l’edizione italiana dei sette
volumi dei corsi di psicoanalisi delle Problematiche e dei volumi Il primato dell’altro in psicoanalisi e Tra seduzione e
ispirazione: l’uomo, che ne raccolgono i principali lavori dal 1967 ad oggi.

Il metodo e la teoria
Lei ha ribadito che non si può parlare di inconscio senza specificarne il legame indissolubile con il
metodo che permette di accedervi, sottolineando che è a proposito del metodo che Freud riafferma
l’originalità del campo scoperto/istituito dalla psicoanalisi; metodo che non è una raccolta di ricette e
che, per quanto concerne la psicoanalisi, comprende: la situazione analitica, le associazioni libere, il
transfert.
Può chiarire questo punto, questo rapporto con il metodo?
Nella sua domanda vi sono molte cose. Affronterò in primo luogo la questione storica. Lei dice: ci fu
una volta l’inconscio, ci fu una volta l’inconscio “freudiano”. Ma penso che prima di Freud, più
precisamente al momento della scoperta di Freud, si poteva dire: ci furono una volta gli inconsci,
perché gli inconsci vengono forse dopo Freud ma vengono anche prima di Freud. E quindi la
peculiarità di Freud sta nell’apportare una concezione dell’inconscio completamente nuova rispetto a
ciò che lo precede.
Non so se questa concezione sia superata, a mio avviso non lo è, ma è completamente nuova, perché
implica da una parte il metodo per accedervi e dall’altra uno psicodinamismo che è quello della
rimozione. E questo, a mio avviso, non lo si trova nell’inconscio pre-freudiano.
L’inconscio pre-freudiano è sempre un inconscio che è un latente, quindi non esattamente un rimosso.
Ma non penso che la psicoanalisi abbia detronizzato gli inconsci latenti. Ritengo che vi sia sempre un
inconscio latente. Prendiamo ad esempio l’analisi del discorso cui si pensa spesso in psicosociologia o
in sociologia per mostrare gli impliciti di un discorso, sia che si tratti degli impliciti personali, degli
impliciti sociologici, degli impliciti culturali etc. Questo implicito è una sorta di inconscio, ma non è
l’inconscio freudiano. Ma penso che questo implicito, l’implicito per esempio che fa sì che attraverso
tutta una serie di miti di una stessa civiltà si possano ritrovare delle strutture comuni – è un po’ il modo

di procedere di Lévi-Strauss –, strutture comuni che evidentemente sono inconsce nel senso comune
del termine, ebbene penso che questo inconscio non sia detronizzato, ma sia qualcosa di diverso
rispetto all’inconscio di Freud.

Perché?

Innanzitutto risponderò semplicemente, in modo quasi realista – su questo sono volontariamente
provocatorio –, che l’inconscio è individuale, l’inconscio di Freud, scoperto da Freud, è individuale e si
trova all’interno della testa di ognuno.

È all’interno della testa di ognuno. Su questo non sono idealista; penso che forse un giorno si
vedranno materialmente tutti i processi neurologici corrispondenti ai processi psichici, ma a mio avviso
ciò non porterà a nulla. Ritengo che l’inconscio, come il conscio, abbia dei corrispettivi nel sistema
nervoso. Ma per me non è il sistema nervoso l’inconscio del pensiero. Tanto l’inconscio quanto il
conscio hanno dei correlati nel sistema nervoso. Per tornare all’inconscio freudiano, dunque per me è
un inconscio individuale e non collettivo, né transindividuale come diceva Lacan. È un inconscio che si
è formato nella storia individuale di ognuno.
Il secondo punto è l’accesso all’inconscio, che è per l’appunto il metodo analitico. Scoperta
assolutamente fondamentale di Freud: anche se si potrebbe sempre mostrare che nella storia di altre
civiltà vi sono delle cose che possono assomigliarvi un po’, credo che l’idea di far stendere le persone
sul divano – ma ovviamente non è questo l’essenziale – e di farle parlare in modo assolutamente libero,
in un modo cioè associativo e al tempo stesso dissociativo, sia qualcosa di completamente nuovo nella
cultura.
Ancora una volta mi si potrà mostrare che forse nei Dogon o in altre popolazioni vi sono delle cose che
assomigliano a questo, ne sarei lietissimo, ma Freud ha davvero portato una rivoluzione, e la
rivoluzione di Freud è la rivoluzione del metodo. Egli ha affermato: “La psicoanalisi è innanzitutto un
metodo per accedere a fenomeni pressoché inaccessibili altrimenti” e questi fenomeni sono l’inconscio.
Infine, l’ultimo punto – se vuole, potremo esaminarlo in dettaglio in seguito – sta nel mettere questo
inconscio in rapporto con una dinamica che è la dinamica della difesa e della rimozione. Il metodo
scopre non solo che vi sono certi contenuti inconsci, ma scopre anche la difesa del soggetto, scoprendo
dunque per inferenza che questa difesa corrisponde a delle antiche rimozioni. Vale a dire che ciò che è
qui inconscio non è inconscio senza che vi sia una forza, senza che vi sia implicato un gioco di forze,
un gioco di forze che spingeva verso la coscienza ed un gioco di forze che si è opposto alla presa di
coscienza.

 

 

 

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