Il corpo-cervello in psicoanalisi può non essere quello che si crede

Il corpo sembra essere un riferimento chiaro ed immediato. Quando si parla di corpo, non sembrano esserci dubbi su cosa esso sia. Anche nelle teorizzazioni psicoanalitiche, soprattutto quelle che si appoggiano alle neuroscienze, il corpo e il cervello vengono considerati nella loro morfologia e struttura come il tratto distintivo dell’umano. Le cose stanno effettivamente così?

L’hardware del corpo e del cervello

Anche se lo studio della complessità del corpo e del cervello, permette di costruire delle metafore che rendano conto dell’umano, ad un’analisi un po’ approfondita può emergere che l’umano non si allontani dal concetto di macchina o computer. In fondo in molte trasmissioni di divulgazione scientifica si parla del corpo come “una macchina meravigliosa”.

Lo studio del cervello, soprattutto a partire dai neuroni a specchio e del concetto relativo di “simulazione incarnata”, sembra poterci restituire una spiegazione più plausibile della sensibilità umana. Il concetto di Mentalizzazione potrebbe esserne un esempio.

Per coloro che romanticamente credono che un intelligenza artificiale non potrà mai acquisire una coscienza

Molti psicoterapeuti-psicoanalisti avvertono istintivamente la radicale diversità tra l’intelligenza umana e l’intelligenza artificiale. E quando essi si appoggiano alle recenti scoperte delle neuroscienze, richiamando i neuroni a specchio, o l’intelligenza emotiva dell’emisfero destro, dicono qualcosa di assolutamente condivisibile, l’uomo non è una macchina, e un computer non diventerà mai cosciente. Se però andiamo ad analizzare le fondamenta elementari su cui si erge l’edifico teorico neuroscientifico, potremmo trovare delle sorprese.

Il cervello computer

Se guardiamo al tipo di segnale minimo che circola all’interno del nostro cervello, guardando al singolo neurone, non possiamo non constatare che il neurone potrà assumere due stati: uno stato eccitatorio o uno stato di riposo. Lo stato eccitatorio  viene generato da un potenziale d’azione.

Tutto ciò per dire che L’unita di informazione minima che circola all’interno del cervello, così come oggi è pensato dalle neuroscienze, è un informazione di tipo binario, un informazione che può essere rappresentata da un 1 o uno 0. Su questo tipo di informazione le reti neurali eseguono un computo, ovvero fanno dei calcoli.

Cosa significa?

Significa che qualsiasi modello delle neuroscienze attuali (anche quelle affettive) sotto intendono in modo implicito che gli stati affettivi hanno alla loro base un computo. Ciò che sfugge a molti psicoanalisti e psicoterapeuti che cercano di costruire dei ponti tra la mente e il cervello, è che i fenomeni più specificamente umani (e che loro ritengono non poter essere riproducibili nei computer) hanno alla loro base ciò che vorrebbero negare, ovvero la computazione. 

Un circolo imprevisto 

Sicuramente i colleghi che si appellano all’intelligenza emotiva, alla necessità della sintonizzazione tra emisferi destri, o alla sintonizzazione frutto della simulazione incarnata, in fondo cercano di affermare lo specifico di ciò che è un essere umano. Eppure però il paradigma delle neuroscienze (implicitamente) si appoggia a ciò che si definisce essere una macchina di Touring, ovvero una macchina che esegue un determinato tipo di calcoli. È su queste basi che alcuni teorici dell’intelligenza artificiale pensano di poter dare coscienza all’intelligenza artificiale. Dunque, ritengo che la maggior parte degli psicoanalisti che cercano nelle neuroscienze la spiegazione delle funzioni neurobiologiche che ci rendono specificamente umani, di base non considerano che il loro modello (a partire da quello dei neuroni a specchio) è un modello computazionale. Mi sembra che in questo modo emerga una strana simmetria, ciò che ci renderebbe umani in realtà sarebbe una macchina computazionale.

Per questo motivo il mio sguardo rispetto alle neuroscienze si volge altrove, e nello specifico nelle parole di Roger Penrose:

“vi sono manifestazioni esteriori di oggetti coscienti (diciamo, cervelli) che differiscono dalle manifestazioni esteriori di un calcolatore: gli effetti esterni della coscienza non possono essere adeguatamente simulati in modo computazionale”.

Con questo non intendo dire che le scoperte neuroscientifiche che spiegano l’empatia, gli affetti e lo specifico dell’essere umano non siano vere, ma che esse, da sole, non possono essere sufficienti a dipanare il più grande mistero dell’essere umano, ovvero la sua autocoscienza.

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