Riporto in questo breve articolo la descrizione che Paolo Roccato fa delle fenomenologia dell’attacco di panico. Spesso le persone che per la prima volta sperimentano questo tipo di disturbo rimangono disorientate dal non capire quello che è successo loro. Partire da una buona informazione è il primo passo per affrontare nella giusta prospettiva la problematica.
L’ESPERIENZA DELL’ATTACCO DI PANICO
Un fulmine a ciel sereno. Un improvviso attivarsi, che appare totalmente “insensato”, di palpitazioni galoppanti, col cuore che batte all’impazzata, tremori, dispnea, affanno respiratorio, sensazione di soffocamento, dolore al petto, formicolio o torpore in qualche distretto corporeo, orripilazione, sudorazione fredda, brividi, vampate di calore, vedere o tutto nero o la luce che diviene abbagliante, vertigini, nausea, diarrea e incoercibile spinta a urinare, sensazione di vuoto alla testa e di sbandamento, senso di svenimento, derealizzazione (cioè: senso di perdita del contatto con la realtà), depersonalizzazione (cioè: senso di perdita del contatto con se stessi), paura di perdere il controllo o di impazzire: sensazione di stare – davvero – per morire. E angoscia.
È la percezione di queste “sensazioni” che si presentano come fossero del tutto “insensate” quella che attiva l’angoscia. Per essere più precisi: che attiva lo stato di allarme, che sfocia in angoscia per la percezione di non sapere che cosa stia capitando, né, quindi, che cosa ci si possa fare. Questo è l’attacco di panico.(4)
Un insieme di “sintomi” somatici e psichici che al soggetto appaiono del tutto “insensati” e che suscitano in lui una terribile angoscia, la quale, invece, è la sola cosa che gli si presenta come del tutto “sensata”. È ovvio, infatti, per lui, che qualcosa di grosso all’improvviso non va; che i segni di questo sono ultraevidenti e ultraallarmanti; e che sarebbe follia minimizzare uno sconquasso così devastante. Sono esperienze tremende, che fanno stare terribilmente male, e che, a propria volta, suscitano un’angoscia anticipatoria. I pazienti sono disposti – letteralmente – a tutto, pur di evitare di ritrovarcisi. Le strategie di evitamento preventivo tendono a diventare così massicce e pervasive, da portare progressivamente i pazienti a evitare ogni novità, ogni imprevisto: ogni occasione di vita, in fondo, con grave danno e grande infelicità per loro stessi e per le persone che vivono con loro.